ANISH KAPOOR, A FIRENZE L'ETICA DELL'UNTRUE UNREAL
Può l'arte, una categoria della vita umana che per definizione sfugge a ogni connotazione morale, essere etica? Assolutamente sì, e aggiungiamo: tanto che il messaggio sotteso rappresenti il suo fine ultimo quanto che non lo rappresenti affatto. Ed è proprio il caso di Anish Kapoor, se è vero che lui stesso cita Paul Valéry per spiegare il senso recondito della propria opera: “A bad poem is one that vanishes into meaning”, ossia “Una brutta poesia è quella che svanisce nel significato”. Per lui compito dell'arte è dunque suscitare interrogativi e ricerca nel fruitore, non suggerire risposte. Più o meno il modo in cui agiva filosoficamente Socrate coi suoi allievi: attraverso il metodo maieutico non imponeva concetti o dogmi, ma mirava a provocare in loro interrogativi le cui risposte li avrebbero naturalmente avvicinati alla verità.
Così la splendida razionalità tutta rinascimentale di Palazzo Strozzi a Firenze si trasforma, con Anish Kapoor, in forme concave e convesse, integre e smembrate al tempo stesso, attraverso le quali siamo tutti invitati a mettere in dubbio le nostre percezioni sensoriali. Nell'arte di Anish Kapoor l'irreale (unreal) si mescola all'inverosimile (untrue), inducendoci a esplorare un mondo in cui i confini tra vero e falso si dissolvono, spalancando così le porte alla dimensione di un possibile impossibile in cui viene spontaneo porci domande più profonde rispetto a quelle che di solito ci suscita l'apparente superficie del nostro “mondo reale”, introducendoci di conseguenza nella dimensione etica della nostra interiorità.